“Pappa“: voce onomatopeica del linguaggio infantile.
Qualcosa di incredibilmente buono e preparato con quella cura che si addice alle madri o, insomma, a qualcuno che ci vuole parecchio, parecchio ma parecchio bene.
La pappa è lo svezzamento dei lattanti, è il primo incontro con la più prossima parente della minestrina: cremosa, morbida e generosa nel non richiedere neanche lo sforzo della masticazione.
“Pappa“: tra le prime paroline che impara l’infante grazie al suo scoppiettio ritmato, rigonfio e molleggiato: apapapapapapa….
La pappa è anche reale: quel miracoloso, alchemico, lussuoso nutrimento riservato solo a quelle api operaie destinate a divenir regina!
La pappa è la cosa più buona del mondo!
La più prelibata, amorevole, preziosa!
La pappa al pomodoro per me esiste da sempre, è nata con la donna e il macinino.
Per molti divenne famosa nel 1912 quando venne pubblicato Il giornalino di Gian Burrasca, un romanzo scritto da Vamba e pubblicato a puntate sul Giornalino della Domenica tra il 1907 e il 1908. Nel 1965, divenne anche uno sceneggiato televisivo diretti da Lina Wertmüller e con le musiche di Nino Rota (sue le musiche dei film di Fellini, tanto per capirsi, tra cui la meravigliosa melodia de “La strada“), tra queste, la famosa canzone Viva la pappa col pomodoro, interpretata da Rita Pavone.
Il giornalino di Gian Burrasca è il diario di Giannino Stoppani, un bambino di 9 anni che, nella Firenze di inizio novecento ne combina di tutti i colori (tanto da guadagnarsi il soprannome di Gianburrasca) fino ad esser rinchiuso dalla famiglia nel terribile collegio Pierpaolo Pierpaoli, diretto dai temibilissimi, di carattere e d’aspetto, Signor Stanislao (un lungo baccellone) e consorte Signora Gertrude (una rotonda melanzanona). Ed è qui che Giannino, insieme al compagno Michelozzi, diventa eroe della società segreta “Tutti per uno, uno per tutti” riuscendo nell’inpresa di costringere la cucina del collegio a preparare la pappa al pomodoro al posto delle solite minestre preparate con il riso o con la rigovernatura dei piatti della settimana.
Giannino Stoppani, un eroe modesto, retto da solidi principi, forse più in voga all’inizio del secolo scorso che oggi, che così racconta delle sue gesta eroiche:
Per me e per Mario Michelozzi è stata una grande soddisfazione quella di aver fatto cambiar regime ai nostri pasti, e ripensando alla nostra audace spedizione di stanotte, ai pericoli affrontati con tanto sangue freddo, mi par d’essere uno degli eroi di quelle imprese gloriose che si trovano in tutte le storie di tutti i popoli….
E alla fin dei conti non si tratta forse, sia pure in un campo più ristretto, delle medesime cause e dei medesimi fatti nei quali chi ha più core e più coraggio si sacrifica per il bene comune?
Anche nelle storie delle nazioni ci sono i popoli che ogni tanto si stancano d’aver sempre minestra di riso, e allora avvengono le congiure, i complotti, e saltan fuori i Michelozzi e gli Stoppani che affrontano i pericoli finchè, per la loro abnegazione, non si passa alla pappa al pomodoro.
Che si fa se il popolo ignora chi è stato che ha fatto cambiar minestra? A noi ci basta la coscienza d’aver fatto quel che abbiamo fatto per la felicità di tutti.
La pappa al pomodoro l’è bona perchè fatta con 3 ingredienti, più il condimento. Anche il pane che si usa deve essere fatto di 3 ingredienti. Ci vuole il pane toscano, quello sciapo, insipido ma croccante fuori, morbido dentro, così come si conviene ad un pane cotto nel forno a legna. E la bontà sta come sempre nei 3 ingredienti: farina, acqua, lievito madre.
E ci vuole un ingrediente segreto per rendere onesta la pappa al pomodoro, deve essere preparata senza far patir nessuno.
E allora cerco di pensare agli altri quando vado a fare la spesa. Cerco di comprare poco perchè mi rendo conto che, talvolta, il poco prezzo induce al facile spreco e in casa mia si direbbe “l’è il risparmio di Melelicche” se poi si butta via!
Penso a quale alto prezzo si nasconde dietro alle offerte. Guardo da dove proviene un frutto, sperando che non porti con armi, guerra e sopraffazione. Controllo che abbia fatto minor strada possibile. Non compro quello che arricchisce chi lo vende perchè impoverisce chi lo coltiva. Non sarò mai felice nel mangiare anche la pietanza più prelibata se non sarò consapevole e cosciente di non aver fatto del male a qualcuno.E quando mi metto a guardare chi mangia insieme a me, mi viene in mente il mio amico Don Pasta e allora devo andare a rileggere le sue riflessioni. A Rosarno si coltivano pomodori e cocomeri…
da “La parmigiana e la rivoluzione. Elogio della frittura e altre pratiche militanti”:
Nelle campagne è cambiato assai poco. Ma qualcosa di strano, quasi inimmaginabile è successo, a Rosarno, in Calabria e a Nardò, in Salento.
Dei raccoglitori stagionali, noncuranti del rischio di essere mandati via per sempre, hanno denunciato le condizioni drammatiche e inumane in cui erano obbligati a lavorare.Per la prima volta degli uomini che non avevano niente da perdere si sono rivoltati senza paura alla mafia, macchina imprendibile e mutevole, convenzione sociale che dura da millenni.Per lo Stato, questi uomini sono clandestini. Per me, eroi.
Rosarno, Calabria. Gennaio 2010
Si è rotto qualcosa.
Cortocircuito.
Cancellare uomini si è sempre fatto.
Cancellarne le ombre, ciò che resta sotto il sole infuocato, è morte essa stessa.
Avrei sperato che nessuno se ne accorgesse. Che si facesse finta di nulla. Che il caporalato fosse solo un’onta del passato e il latifondismo un ricordo del dopoguerra. Che il sistema colluso di mafia, proprietari terrieri, medici e poliziotti fosse un anatema, una jattura antica, ma estirpata. Che la necessità evidente di manodopera dai sud del mondo per la raccolta stagionale, che un italiano rifiuta di fare, non fosse usata come strumento di propaganda. Sembra l’ennesimo cortocircuito tra antico e moderno. Sistemi mafiosi dai codici ancestrali su una babele di disperati di tutto il mondo e non più sulle donne di paese. La nozione marxiana di esercito industriale di riserva è dell’Ottocento, ma pare che due secoli siano passati invano. Ora ha un nome aulico per riformisti alla ricerca di terze vie: flessibilità. Per generazioni nuove e immigrati di ogni sorta si chiama, più prosaicamente, precarietà.
Dietro ogni persona ci sono mille altri schiavi pronti a farlo alla metà della tua paga.
Raccogliere. Piegare la schiena. Uomini forti.
Uno di fianco all’altro passano rapidamente cocomeri giganti.
Raccolgono.
Le offese di essere meno di niente.
Nella quiete del mattino presto.
Nello sprezzo di chi ti carica, caporale aguzzino dei suoi simili.
Come se la parola solidarietà fosse scomparsa per sempre.
Come se non fosse mai esistita.
Umanità sotterrata.
Annessa alla terra.
Schiacciata.
Bagnata dal fango.
Sporcata.
Why don’t you rebel. Wake up, wake up, wake up.https://www.youtube.com/embed/8kMEGdw_VF8
Canta e piange Lauryn Hill, canta e piange, nel dire, nel dirsi: alzati, ribellati, per favore. Loro si sono ribellati e il paese intero gli ha sparato addosso infamie. Come a dire: mai cambiare un’autarchia, anche se ingiusta. Dicono che a vincere sia Creonte.
Che siano le regole a ristabilire l’ordine. Che gli uomini sono bestie. Che tra bestie ci si mangia. Che l’uomo è quell’essere che al contrario delle bestie sa concepire delle regole da imporre. E sono quelle regole che fanno la democrazia. Non funziona, e nessuna regola attutisce violenze e ingiustizie che ne sono conseguenza.
Nessuno mi ha avvertito che il sud è truccato. Che non esiste. Non esiste più.
Mi chiamo Donpasta, non Donchisciotte.
Sono senza forza, con poche munizioni, in una lotta che dura da secoli, da millenni.
Ho aglio, un po’ di pomodori, per precauzione ho vino a sufficienza.
Mi sembra di stare fuori luogo ovunque. Fuori tempo massimo.
Continuo a parlare della parmigiana, dimenticando che la rivoluzione non è un pranzo di gala. La mia è una battaglia persa, in quel sud dove l’uomo è come se volesse dimostrare ogni volta, in ogni istante, che, dove ci sono passioni, ci sono martiri, Antigoni, che si rivoltano alle regole imposte, ma che muoiono.
Vorrei essere questi ulivi.
Vorrei poter aver visto tutte le solidarietà che hanno fondato una società che almeno per un momento ha mostrato che la parola tolleranza fosse possibile.
Vorrei condividere pane.
Per questi uomini senza terra, frustrato, offro il frutto del loro sudore.
La vera pappa col pomodoro con pane raffermo.
La storia l’ha insegnato, che il popolo affamato, fa la rivoluzion.
Viva la pappa al Pomodoro!
1 kg di pomodori maturi e onesti Il pane deve essere raffermo. Non una sorta di fossile del neolitico da richiedere la sega elettrica per essere tagliato. Diciamo che un pane di 3 giorni va bene. Si deve tagliare a quadratini, diciamo di 4/5 cm. Insomma via, una misura che stia in bocca! I pomodori che vanno bene sono quelli onesti e del tipo perini o cuore di bue, insomma di quelli con tanta polpa rosso fiammante. Li butto per un minuto in acqua bollente e poi li pelo. In una casseruola metto circa 50 gr di olio e un aglio intero. Non fate la faccia sconvolta, non si sentirà come immaginate una volta cotto. Io uso l’aglio rosso, mi piace di più! Dovrà cuocere molto lentamente, se si brucia, volate tutto nella pattumiera! Aggiungere quindi i pomodori e poi i tocchetti di pane. Mettere il coperchio e lasciar cuocere per 20 minuti. Io non ho avuto necessità di aggiungere nessun liquido perchè i pomodori avevano acqua nella perfetta, giusta quantità. Allora, a me piace la pappa in cui si ritrova qualche corteccina intera che, però, non deve essere bianca all’interno. A fine cottura metto il basilico e do una bella rimescolata utilizzando la frusta che rende il pane cremoso e lascia qualche tocchetto ostinato nella sua forma di polpettina di pane. La Pappa deve essere lucida, deve brillare. Quando la si serve un filino d’olio parecchio parecchio abbondante è d’obbligo. La cucina opaca e spenta, in questo sito non se ne vuol sentir parlare! Olè!Pappa al pomodoro: se è buona, deve essere buona per tutti dicono Gianburrasca, Don Pasta e Lauryn Hill,
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Ingredienti
300 gr di pane toscano raffermo
20 foglie di basilico
8 spicchi d’aglio
sale e pepe
1 bicchiere di olio extravergine d’oliva.procedimento